Letteratura latina _33

Posted by Massimo Meridio On martedì 27 marzo 2012 0 commenti

Apuleio
De Magia: e’ un’ampia orazione giudiziaria nel quale l’autore assume l’atteggiamento di chi è costretto a trattare argomenti meschini e con persone (i suoi accusatori) indegne e meschine. Egli era stato infatti accusato di aver sedotto Pudentilla, madre dell’amico Ponziano, con filtri e magie solo per ereditare i suoi averi. Inizialmente A. si discolpa dalle accuse secondarie, dal cap.25 ha inizio la confutazione dell’accusa di magia che si conclude con l’esibizione della prova decisiva: la lettura del testamento di Pudentilla, che nomina suo figlio Pudente unico erede. L’opera si rifà alla Pro Caelio di Cicerone di cui mantiene la vivace brillantezza e un lessico spesso poetico tipico degli abbellimenti desunti dalle scuole di retorica dei suoi tempi.
Florida: Antologia di 23 estratti di conferenze in cui appare l’atteggiamento esibizionistico dell’oratore, sulla base della convinzione che il sofista deve essere in grado di parlare su qualsiasi argomento, visto che l’unica arte che  possiede è la parola.
Le Metamorfosi: Conosciuta anche come l’asino d’oro è un romanzo che richiama la fabula Milesia, ovvero racconti piacevoli e leggeri solitamente d’argomento erotico. Il racconto avviene in prima persona per mezzo di Lucio che sarà il protagonista di questo romanzo antico, cioè del solito viaggio e delle peripezie che ne deriveranno a causa della sua curiositas. In Tessaglia apprende la magia ma viene trasformato per errore in asino. Da qui iniziano le sue disavventure; verrà infatti rapito e passato di padrone in padrone, sfruttato e maltrattato. Troviamo la digressione di Amore e Psiche che è un vero e proprio romanzo nel romanzo, che occupa quasi due libri interi. Alla fine Lucio, grazie all’intervento di Iside riprende le sue sembianze. E’ costituito da 11 libri, un numero che è strettamente legato al culto di Iside perché l’iniziazione isiaca avveniva l’11° giorno. E’ un romanzo d’intrattenimento, ma che racchiude diverse implicazioni letterarie, filosofiche e religiose, quindi ha una funzione sia edificante che d’intrattenimento. Psiche è il simbolo dell’anima umana. Amore, come Iside, prende l’iniziativa di salvare chi è caduto, e lo fa di sua spontanea volontà. La trasformazione di Lucio in asino è l’emblema del ridursi in bestia dell’uomo e della sua degradazione. Lo stile è complesso e artificioso nonostante non manchino parti in cui prevale la spontaneità e la semplicità, frutto di una raffinata elaborazione artistica. Il lessico è estremamente vario: arcaismi, parole rare ma anche volgarismi. Vengono spesso usate metafore e diminutivi che derivano dall’imitazione di  Catullo.







Letteratura latina _32

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Germania:
La Germania è una breve monografia di argomento geo-etnografico, composta e pubblicata intorno al 98. Il testo è diviso in due parti. Nella prima, dopo rapidi cenni riguardo la posizione e i confini della regione, vengono trattati gli aspetti comuni a tutte le tribù germaniche: origini e aspetto fisico della stirpe; configurazione del territorio, clima; usi, credenze, istituzioni e costumi dei Germani nella vita pubblica e nella vita privata. Nella seconda parte vengono analizzate le caratteristiche particolari delle singole popolazioni germaniche. Partendo dalle sponde del Reno, l’autore s’inoltra nell’interno del paese fino al Mar Baltico, passando in rassegna una settantina di popoli. L’opera si conclude con un suggestivo accenno a misteriose genti ancor più remote. Di tutte le sue fonti, verosimilmente Livio, Sallustio, Cremuzio Cordo, Plinio il Vecchio, Tacito nomina soltanto Cesare, definito summus auctorum che scrisse un excursus etnografico sui Germani nel De bello Gallico. La Germania veniva vista dalle genti dell’Europa meridionale come un paese favoloso e remoto, il Reno appariva come il confine naturale tra mondo civile e barbarie, anche se per oltre mezzo secolo Roma tentò di varcarlo e di stabilire il proprio dominio, assestandosi il più delle volte su posizioni difensive, essendo l’espansionismo romano traumaticamente arrestato dai Germani. Tacito non si sottrae alla suggestione di un popolo che gli apparve vigoroso, fiero ed integro: i Germani sono descritti come guerrieri forti e intrepidi che disdegnano il lusso, non temono nessun pericolo ed ambiscono unicamente a segnalarsi per il loro valore in battaglia. Le donne non sono da meno per coraggio, fierezza ed energia. L’elogio dei Germani sottintende un continuo confronto con Roma, svolto in modo indiretto ed allusivo.  Secondo l’autore a rendere così ardua la sottomissione dei Germani è l’amore per la libertas che da sempre contraddistingue le tribù germaniche. La virtus di un popolo è indivisibile dalla sua libertà. Se i Germani sono indomabili è perché essi sono liberi: questo concetto – fondamentale nel pensiero politico tacitiano – assume un evidente significato polemico nei confronti della recente storia dell’impero, caratterizzata dalla perdita della libertas e dal degrado dei valori del popolo romano. L’autore non si astiene dall’evidenziare i caratteri negativi dei Germani, la loro indolenza, la crudeltà, la rissosità, l’ubriachezza, l’inettitudine alle attività che non siano guerresche, ma è forse con un misto di sarcasmo e di angoscia che Tacito annota le debolezze dei Germani, sperando che proprio da esse possa derivare la salvezza per Roma, altrimenti destinata a perire sotto l’impeto delle tribù.

Letteratura latina _31

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

AGRICOLA
L’Agricola pare sia stato composto intorno al 97 ed è incentrato sulla figura di Giulio Agricola. L’opera si apre con un proemio ove si annuncia un chiaro ed articolato programma storiografico: narrare i rovinosi eventi del principato di Domiziano e quelli più felici dell’età di Nerva e Traiano. L’autore rievoca poi le origini, la formazione e la carriera del protagonista fino al momento in cui egli assume la carica di governatore della Britannia. Si apre a questo punto un excursus a carattere geografico ed etnografico sull’isola, i suoi abitanti, il clima, cui segue una ricostruzione della conquista e della dominazione romana in quella regione. La parte centrale e più cospicua dell’opera è dedicata all’attività di Agricola durante la sua permanenza sull’isola. Saggi provvedimenti di riforma sul piano amministrativo e civile si accompagnano a fortunate operazioni militari, che portano alla conquista di nuovi territori. Ad interrompere l’opera di Agricola viene il richiamo del princeps Domiziano, invidioso dei successi del suo generale. Di ritorno nella capitale, il protagonista si ritira a vita privata e la morte lo coglie prematuramente. L’epilogo esalta le virtù esemplari dell’estinto. L’opera si sviluppa in una zona di intersezione fra generi letterari diversi che vanno dalla laudatio funebris alla biografia encomiastica, dall’opera storica ed etnografica al libello politico. Nella pluralità dei modelli, l’unità del libretto è assicurata dallo sguardo teso e appassionato dell’autore, dalla complessità del suo pensiero politico, dalla forza sentenziosa e drammatica della narrazione. Elogiando Agricola, Tacito si propone di indicare un modello di comportamento politico: pur vivendo in un’epoca difficile, Agricola non si era sottratto ai suoi doveri, continuando a servire Roma. La polemica è rivolta contro quanti avevano scelto una forma di protesta sterile e plateale, preferendo un’ambitiosa mors (suicidio degli stoici), all’onesto lealismo di funzionari come Agricola. L’elogio di Agricola è anche l’elogio della medietas, virtù basilare nel sistema etico classico, via di mezzo tra il deforme obsequium di quanti si avvilirono fino al servilismo più abietto e l’abrupta contumacia di quanti si irrigidirono in una sterile opposizione.

Letteratura latina _30

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

TACITO:
Nacque fra il 55 e il 58. Incerto il luogo di nascita, ipotizzato nella città di Terni. Inizia la carriera politica sotto la dinastia dei Flavi e sposa la figlia di Giulio Agricola. Muore intorno al 120 circa sotto il principato di Adriano.

Dialogus De Oratoribus

L’attribuzione a Tacito del Dialogus era incerta poiché lo stile, improntato al modello neociceroniano, appariva troppo distante dallo stile aspro, irregolare e asimmetrico delle opere storiche tacitiane. Le perplessità vengono superate inquadrando l’opera entro i confini del genere (il trattato di argomento retorico in forma dialogica), vincolato a un ben preciso codice espressivo e a un modello fondamentale (Cicerone). Alcuni studiosi collocano la data di composizione intorno all’80, altri la spostano intorno al 102. L’autore afferma di riferire una conversazione cui egli aveva assistito in casa di Curiazio Materno, oratore e poeta tragico. Interlocutori del dialogo, oltre a Materno, sono i maggiori oratori dell’epoca: Marco Apro, Giulio Secondo e Vipstano Messalla. Dapprima Apro rimprovera Materno di tralasciare l’eloquenza – di cui tesse un altissimo elogio considerandola un’attività nobile, piacevole e proficua – per dedicarsi alla poesia, che presenta lo svantaggio di costringere i suoi cultori ad una vita solitaria ed appartata. Sopraggiunge Messalla, che sposta la questione sulle cause dell’attuale decadenza dell’oratoria. Vi è poi un diverbio tra Apro, che nega che l’eloquenza moderna sia inferiore a quella degli antichi, e Messalla che afferma invece la superiorità degli oratori del passato. Egli addita le cause all’abbandono dei sistemi educativi di un tempo e all’incompetenza dei maestri. Segue, dopo una lacuna nel testo, l’intervento conclusivo di Materno, il quale individua le vere cause, a suo dire politiche, della scomparsa della grande eloquenza: quest’ultima non può fiorire se non in tempi di libertà politica, nonostante essa porti con sé anche il sangue delle guerre civili. In uno stato tranquillo, i cittadini godono i vantaggi della pace, ma la fiamma dell’eloquenza non può far altro che spegnersi. Le tesi presenti coincidono con quelle di Tacito esposte nelle opere storiche. L’autore accetta la realtà del principato, riconoscendone l’inevitabilità di fronte alla degenerazione dell’antica libertas in licentia, ma non nasconde la sua profonda ammirazione per gli uomini, le tradizioni e i valori spirituali della libera repubblica, pur essendo consapevole di guardare ad un passato che non potrà mai più ritornare. Tuttavia egli non rinuncia a delineare un ideale di vita che consenta al magnus vir di salvaguardare la propria innocentia, dignità e libertà anche in tempi di servilismo e adulazione. Viva e attuale appare l’esigenza di trovare un equilibrio fra gli antichi mores e le nuove forme del potere.

Letteratura latina _29

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

PLINIO IL GIOVANE:

Nacque nel 61/62 d.C. a Como. Studiò a Roma e fu allievo di Quintiliano. Fece una brillante carriera politica sotto Domiziano e Traiano che lo volle al consilium principis. Morì nel 112/113. Scrisse molte opere che sono andate perse, ma ce ne sono pervenute due: Il Panegirico di Traiano e
Il Palegirico di Traiano:
L’unica orazione di Plinio conservata è il discorso di ringraziamento all’imperatore che pronunciò in Senato assumendo la carica di console e che poi rielaborò e ampliò per pubblicarlo. Traiano viene presentato come un dono fatto dagli dei ai Romani per il bene dell’impero e dotato di qualità che lo assimilano ad una divinità, anche se egli nella sua modestie non pretende, come Domiziano, onori divini. Vengono rievocate le vicende che hanno portato alla sua elezione a imperatore, esaltando le sue straordinarie qualità come comandante dell’esercito, la sua generosità, la sua affabilità e modestia. Traiano viene descritto come la rappresentazione perfetta dell’optimus princeps. La giustizia e la clemenza in cui Traiano eccelle e la fiducia e l’affetto reciproci, che lo legano al Senato e al popolo, garantiscono all’impero un futuro di pace e di prosperità. E’ evidente che tra gli scopi principali di Plinio vi è quello di incoraggiare la politica adottata da Traiano, che garantisce onori e privilegi alla classe a cui egli stesso appartiene e che lo scrittore riconosce a Traiano il diritto di esercitare un potere assoluto. Ovviamente Plinio adotta uno stile elevato, ornato ed enfatico.
L’epistolario:
L’opera più importante di Plinio è una raccolta di epistole di 10 libri. I primi nove contengono lettere agli amici che l’autore pubblicò quando partì per la Bitinia: sono circa 250 epistole a più di 100 destinatari. Il X libro contiene lettere scambiate tra Plinio e Traiano che sono circa 120. E’ probabile che buona parte delle lettere sono state effettivamente spedite ai destinatari, ma molte altre furono scritte esclusivamente per essere pubblicate. Questa è la sostanziale differenza tra Plinio e Cicerone, in quanto il primo scrive anche in previsione della pubblicazione mentre il secondo scrive epistole esclusivamente private, ma pubblicate solo postume alla sua morte. Per quanto riguarda l’ordine è ispirato al criterio della varietas degli argomenti e delle situazioni. L’epistolario documenta, sostanzialmente, le occupazioni e le abitudini di un cittadino romano di successo sotto l’impero, dai discorsi in Senato agli inviti a cena, alle visite di cortesia ecc. Dalle epistole emerge la spiccata e positiva personalità di Plinio, la sua onestà morale, la cultura raffinata, il buon gusto, l’humanitas, fatta di cortesia, affabilità, comprensione per le difficoltà altrui indulgenza per i difetti e compiacimento per i successi degli amici. Oltre ai lati positivi emergono anche i limiti di Plinio: la vanità, che si rivela nel continuo bisogno di riconoscimenti, un eccessivo ottimismo. La frequenza delle epistole di argomento letterario conferma l’importanza centrale della letteratura nella vita di Plinio. Affiora, anche, una certa superficialità: Plinio non vede i sintomi della crisi culturale che il suo stesso maestro, Quintiliano rilevava. L’epistolario ha un notevole valore dal punto di vista sia storico-culturale che stilistico: scritto in modo limpido e conciso, elegantemente e con voluta semplicità e con largo uso di figura retoriche.

Letteratura latina _28

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

La satira dell’indinatio:

La fase più importante della poetica di Giovenale è rappresentata dall’idignatio. Lo sdegno del poeta verso la corruzione della società in cui vive trapela dai suoi scritti e questi hanno il compito di suscitare l’indignazione nel pubblico. Il personaggio satirico è proprio un gentiluomo indignato. Giovenale nasconde quasi ogni aspetto della sua personalità. Giovenale nelle prime sette satire muove un’aspra critica contro i principali aspetti negativi della società contemporanea denunciandone la corruzione. Come punto di riferimento fondamentale per questa critica, Giovenale utilizza il mos maiorum. Tiene un continuo confronto tra antichità e modernità. Il tema della divitia è ricorrente nella poesia di Giovenale: nella tradizione il possesso di beni di fortuna era di per sé insignificante, mentre era importantissimo il disprezzo delle ricchezze; dunque si può dire che il ricco era sostanzialmente povero e che il povero realmente ricco in quanto autosufficiente. La ricchezza infatti è rilevante per spiegare i comportamenti negativi in quanto induce chi la possiede comportamenti corrotti di avarizia e smania di ricchezza. I divites appaiono come persone potenti, immeritevoli e ingiusti detentori di patrimoni che derivano da attività indegne, immorsali e in alcuni casi delittuose. In questo contesto assume grande importanza il tema della clientela molto vicino al poeta stesso. Infatti nella I satira descrive la giornata “tipo” del cliente umiliante, dalla salutatio mattutino fino alla delusione del mancato invito a cena. Nella III satira invece da voce direttamente ad un cliente, Umbricio, che sottolinea la corruzione della vita di Roma e dal quale trapela anche l’avversione del poeta per i Greci e gli orientali, dettata dalla convinzione che la cultura ellenica abbia rovinato il mos maiorum. Nella V satira rappresenta la cena di un cliente a casa di un patrono, Virrone, nel quale il cliente viene attaccato per la mancanza di dignità che lo spinge ad accettare ogni tipo di umiliazione in cambio di un invito a cena. Virrone beve in calici preziosi vini prelibati, mentre a Trebio, i cliente, viene servito un vinaccio in bicchieri da poco prezzo; Virrone mangia un aragosta, mentre a Trebio viene servito un gambero; a Virrone vengono servite pietanze prelibate, mentre a Trebio funghi velenosi. Tutto ciò esprime l’idea di una ricchezza volta a diventare uno strumento di ingiustizia e discriminazione. Nella IV satira attacca la corte imperiale raccontando di un rombo donato a Domiziano, il quale, date le dimensione del pesce e non sapendo come cucinarlo perché non aveva una padella tanto grande, indisse una assemblea per risolvere il dilemma. Nella II e VI satira tocca i punti importanti dei mos romani. La II si scaglia contro l’omosessualità maschile vista come grave vizio e come tradimento dell’ideale di fierezza virile trasmessa dagli antenati. Nella VI satira, la più lunga, volge un feroce attacco alle donne, in particolare prende in esame Messalina che viene detta “Imperia meretrice”, che di notte lasciava il palazzo e si recava in una stanza per soddisfare i suoi bisogni carnali. All’immoralità femminile non si può porre rimedio, la lussuria, la prepotenza derivata dalla ricchezza, la superbia, l’autoritarismo, la mascolinità, le tendenze delittuose, la propensione verso i filtri e i veleni rendono la donna insopportabile per il marito. La donna dunque viene contrapposta alla matrona romana dell’antichità ligia al suo dovere i moglie e di madre. Nella VII satira Giovenale denuncia le condizioni precarie i cui si trovano poeti, avvocati storici e retori aggravati dalla meschinità e l’avarizia dei ricchi.

Letteratura latina _27

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

GIOVENALE:

Nacque nel Lazio meridionale tra il 50 e 60. Ci viene descritto da Marziale come un cliente, dato che ci fa pensare alla sua umile condizione sociale ed economica. Ebbe però un ottima formazione retorica. Morì dopo il 127. Scrisse 16 satire in esametri divise in 5 libri.

Giovenale prosegue una fiorente tradizione rappresentata da Lucilio, Orazio e Persio, i quali avevano elaborato il concetto di satira fissandone le caratteristiche da seguire. La prima satira è quasi interamente dedicata ad argomenti letterari, critica la letteratura moderna attaccando la cultura contemporanea in particolare le recitationes, che ritiene istruzioni inutili, e svaluta la mitologia come Marziale, che contrapponeva all’inverosimiglianza dei miti la verità della propria poesia. Spiega le ragioni che lo hanno spinto a scegliere la satira come genere sostenendo che data la serie di aberrazioni, delitti, scandali e perversioni è “difficile non scrivere satire”. L’attenzione del poeta è catturata dalla realtà. Giovenale tende ad enfatizzare gli eventi che riporta. L’argomento principale della sua poesia è il comportamento umano visto nel suo aspetto più negativo e deteriore dato il livello di corruzione raggiunto nella Roma del suo tempo. Giovenale, come Marziale, non si propone di educare e correggere, non attribuendo, dunque, ala sua satira una funzione terapeutica, ma solo di denuncia, non rivolta agli individui, ma ai vizi. Il mezzo del quale si serve per affrontare la materia è quello dell’indignatio.

Letteratura latina _26

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Dunque, Quintiliano esprime la sua ostilità nei confronti dei filosofi contemporanei aderendo alle opposizioni di Domiziano che ricordiamo perseguitò scrittori e filosofi.
Quintiliano segue l’educazione del futuro oratore fin dalla nascita. Nel primo libro da ampio spazio ai precetti pedagogici affermando che si devono assecondare le inclinazioni individuali dei fanciulli, condanna le punizioni corporali e tratta lo studio della grammatica. Nel secondo libro spiega come il fanciullo passa dalla scuola di grammatica a quella di retorica delineando la figura del retore ideale. Nel terzo libro troviamo le partizioni fondamentali della retorica: le 5 parti della teoria: inventio, dispositivo, elocutio, memoria, actio; i 3 generi di discorsi: deliberativo, epidittico, giudiziario; i compiti dell’oratore: docere, movere e delectare.
La decadenza dell’oratoria:
L’istitutio oratoria può essere considerata una summa della retorica antica. Nell’opera, Quinitliano, delinea le cause della decadenza dell’oratoria indicando due problemi fondamentali: quello della mutata funzione dell’oratore nella società civile e quello delle nuove tendenze stilistiche. Quintiliano imposta entrambi i problemi in termini di “corruzione” e indica le cause della decadenza in fattori di ordine tecnico, quali: carenza di buoni insegnanti, declamazioni su argomenti fittizi; e morale, quali: la degenerazione dei costumi e lo scadimento del gusto e dello stile. Egli ripropone io modello di retorica ciceroniano a cui si deve tornare. Quintiliano definisce l’oratore perfetto come vir bonus dicendi peritus, ovvero colui che sa anteporre sempre il bene pubblico a quello privato preoccupandosi prima di tutto dell’utilità comune. L’oratore deve essere fedele collaboratore del principe. Le differenze rispetto al modello ciceroniano si notano sia nella sintassi meno ampia e distesa, sia nella maggiore rapidità e incisività della trattazione dell’argomento.

Letteratura latina _25

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

QUINTILIANO:

Quintiliano nacque in Spagna, ma studiò a Roma dove svolse con successo l’attività di avvocato e insegnò retorica per vent’anni, fu infatti una tra i primi professori finanziati dallo Stato per iniziativa di Vespasiano. Ritiratosi dall’insegnamento divenne precettore degli eredi di Domiziano. Quintiliano dunque era un oratore e un professore, ma scrisse, dal 90 al 96, un trattato “L’istituzio oratoria”che sarà nei secoli un testo fondamentale nei campi della pedagogia della stilistica e della critica letteraria. Morì  nel 96 circa.
L’istituzio oratoria:
“La formazione dell’oratore”, simile ad un manuale scolastico, è un trattato in 12 libri, dedicato a Vitorio Marcello, personaggio illustre alla corte di Domiziano. Egli delinea la formazine dell’oratore fin dall’infanzia. E’ un vero e proprio trattato didascalico. Quintiliano eredita la concezione della retorica da Cicerone, ma a differenza sua non si limita a fornire competenze puramente tecniche, ma si propone di formare, insieme al perfetto oratore, il cittadino e l’uomo moralmente esemplare. Egl affronta il problema del rapporto tra retorica e filosofia polemizzando con la pretesa dei filosofi di riservare a loro stessi l’educazione dei giovani e affermando che la filosofia è solo una delle scienze che contribuisce alla cultura dell’oratore.

Letteratura latina _24

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

MARZIALE:
Nasce in Spagna intorno al 40 d.C. Vive a Roma per più di trent’anni. Pubblicò una raccolta di epigrammi per l’inaugurazione del Colosseo rivolgendo grandi elogi a Tito. A Domiziano dedicò molti epigrammi, dopo la morte di Domiziano egli inserì nei libri di raccolta anche elogi rivolti a Nerva e Traiano. Tra i destinatari dei suoi versi compaiono: Plinio il Giovane, Quintiliano, Giovenale. Nel 98 torna in  Spagna dove una ricca signora gli regala una casa e un podere, dove trascorre gli ultimi anni. L’opera di Marziale comprende complessivamente 15 libri di epigrammi.
Poetica:
La produzione di Marziale possiede una grande consapevolezza critica. Egli è contrario alla mitologia in quanto truculenta, inverosimile e falsa, e sostiene la necessità di una poesia radicata nella quotidianità e incentrata sull’essere umano. Abbiamo così la contrapposizione tra mitologia e la vita reale. La realtà è identificata con i mores, ovvero i comportamenti umani. Marziale tratta con arguzia vivace i comportamenti, ma a differenza dei satirici, non si propone di correggere i costumi corrotti dell’umanità, ma solo di divertire il lettore. Inoltre, non esclude la volgarità con intento scherzoso, pur sentendo il bisogno di giustificarla di fronte a Domiziano e lo fa rifiutando l’attacco personale, infatti, adeguandosi ad un editto del principe rinuncia all’aggressione a personaggi precisi adottando come soluzione l’attacco alle colpe e non hai colpevoli. Marziale si rifà al Catullo, il quale interpretava i casi della vita quotidiana in modo giocoso e beffardo. Marziale compone epigrammi non soltanto nel tradizionale distico elegiaco ma anche in endecasillabi, trimetri giambici.
Le raccolte:
Liber de spectaculis: trenta carmi scritti dedicati ai giochi che inaugurarono il Colosseo.
Poesia d’occasione: la realtà compare nel suo lato più grandioso e spettacolare rappresentato dai                     giochi del circo
Biglietti da visita per accompagnare i regali: XENIA (dono ospitale) che accompagnavano doni di cibi e bevande; APOPHORETA (dono da portar via) che accompagnavano regali estratti a sorte durante i banchetti dei Saturnali

Letteratura latina _23

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

TITO E DOMIZIANO:

Vespasiano regnò per dieci anni (69-79). Gli successe il figlio Tito che regnò per breve tempo (79-81), ma lasciando un ricordo molto positivo. Alla successione Tito non godeva del favore dell’opinione pubblica a causa del suo passato “libertino” e della durezza con cui represse una congiura. Diventato imperatore, dimostrò una notevole competenza amministrativa, generosità e affabilità verso i bisognosi e durante il suo regno no ci furono condanne a morte, per questo viene ricordato come un imperatore saggio e virtuoso. In politica estera, Tito, promosse le prime campagne militari verso il nord della Britannia affidandole a Giulio Agricola. Fu completata la costruzione del Colosseo. Durante il suo principato l’eruzione del Vesuvio nel 79 distrusse la città di Pompei e nell’80 un violento incendio distrusse molti quartieri di Roma, a questo seguì un epidemia che causò molte vittime. Vespasiano si dimostrò ancora una volta un principe saggio e generoso in quanto intervenne finanziando le opere di ricostruzione. Quando Tito morì per una malattia gli successe il fratello Domiziano che regnò dal 81 al 96. Domiziano fu un princeps assolutista in quanto tentò di instaurare la subordinazione del Senato e pretese di essere chiamato “signore e dio”. Aumentò il salario a soldati e pretoriani per garantirsi il loro appoggio. Tutto ciò lo portò ad un duro scontro con l’aristocrazia senatoria dando luogo ad una serie di violenze. In politica interna amministrò con cura le provincie e tutelò l’agricoltura italica in grave crisi istituendo misure “protezionistiche”; mentre in politica estera intraprese campagne di espansione e di consolidamento fortificando la zona tra il Reno e il Danubio e continuando la conquista della Britannia. Nel 96 Domiziano cadde vittima di una congiura di aristocratici.
Vita culturale e attività letteraria dell’età dei Flavi:
Vespasiano era ben istruito fornito di una notevole cultura e capacità oratoria. Scrisse dei Comentarii sulle sue gesta presentandosi come il restauratore della concordia, della pace e della prosperità. Prese importanti iniziative in campo culturale promuovendo la scuola pubblica, aprendo una biblioteca nel Foro della Pace e iniziando la costruzione del Colosseo. Egli, inoltre, finanziò retori greci e latini, tra cui Quintiliano, ma anche poeti, artisti e attori tragici. Anche Tito ebbe un ottima formazione culturale e si interessò alla poesia, alla musica e alla arti figurative. Anche Domiziano fu molto interessato alle lettere, infatti scrisse poemi epico-storici. Egli istituì nuovi ludi con concorsi letterari. Domiziano, però, non ebbe buoni rapporti con gli intellettuali data la sua smania di adulazione e la negazione della libertà di pensiero e di espressione, tanto da dare inizio alla persecuzione di scrittori e filosofi. Anche vespasiano aveva espulso i filosofi.

Letteratura latina _22

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

L’ANNO DEI TRE IMPERATORI:

La morte di Nerone segna la fine della dinastia giulio-cludia. A Nerone succede l’anziano generale Galba, al quale successe, dopo la sua uccisione, Otone. In Germania nel frattempo veniva eletto imperatore il generale Vitellio, che scese in Italia per scontrarsi con Otone nei pressi di Cremona. Otone viene sconfitto e ucciso. Allora, insorsero le legioni d’Oriente nominando imperatore Vespasiano, che lascia il comando dell’esercito al figlio Tito per marciare su Roma dove sconfisse Vitellio e lo uccise. Nel novembre del ’69 Vespasiano assunse il potere e pose fine alle lotte, dando inizio alla dinastia Flavia. (l’anno dei tre imperatori: Galba, Otone, Vetellio). Vespasiano era un valente generale e un buon amministratore. Agì con la riorganizzazione delle finanze, istituendo numerosi nuovi tributi e in particolare, dopo la sconfitta degli ebrei questi furono costretti a pagare un tributo a Roma che confluì in una cassa speciale detta fiscus Idaicus; intraprese poi la costruzione di nuove opere pubbliche, favorì i provinciali e i ceti medi nella vita pubblica a Roma incoraggiandone l’ingresso al Senato.

Letteratura latina _21

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

PETRONIO:

A Petronio viene attribuita un opera narrativa , mista di prosa e versi riprendendo lo stile della satira menippea, intitolata Satyricon. L’attribuzione dell’opera a questo autore viene lungamente dibattuta: Tacito delinea il ritratto di Petronio efficacemente in quanto la descrizione corrisponde agli orientamenti e ai gusti dello scrittore, inoltre in vari passi del Satyricon alcuni dati precisi riportano all’età di Nerone.


Satyricon:

La vicenda è narrata in prima persona da un giovane di nome Encolpio che racconta di un viaggio fatto in compagnia di Gitone, di cui era innamorato. Encolpio ha un rivale nell’amore per Gitone, il giovane Ascilto, che insieme a loro vive di espediente nei bassifondi di Napoli o Pozzuoli. I tre incontrano una donna di nome Quartilia, sacerdotessa del dio della fecondità e della sessualità, che li accusa di aver violato i principi del suo dio e li obbliga a partecipare ad un orgia per rimediare al sacrilegio. In seguito partecipano ad una cena nella casa di un ricco liberto, Trimalchione, insieme ad Agamennone. Trimalchione viene descritto come colui che ostenta un lusso pacchiano da cui Encolpio è disgustato. Dopo la cena i tre litigano e Gitone lascia Encolpio per Ascilto. Così Encolpio incontra un vecchio letterato e avventuriero, Eumolpo, il quale ci offre una descrizione in versi della presa di Troia. Encolpio ed Eumolpo diventano compagni di viaggio e ritrovano Gitone, insieme al quale vivono rocambolesche avventure, complicate dalla gelosia di Encolpio che scopre in Eumolpo un altro rivale nell’amore per Gitone. Poi la vicenda si sposta a Crotone dove Eumolpo si finge un vecchio danaroso ed Encolpio e Gitone i suoi servi. Nell’ultima parte Encolpio diventa impotente per la collera del dio Priapo e cade vittima dell’ira di una ricca amante. Encolpio prova a recuperare la virilità anche con la magia ma non riesce. Alla fine nel testamento scrive che i suoi eredi potranno usufruirne solo se faranno a pezzi il suo corpo e li mangeranno in pubblico.

Letteratura latina _20

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Le tragedie

Sono tutte basate sullo scatenarsi di passioni rovinose, che sono il motore delle disgrazie che affliggono i personaggi. Da un lato la ragione, arppresentata da personagi minori ed ignorati, dall’altro il furor, che ha una rilevanza ben superiore alle reali esigenze del genere tragico. Seneca enfatizza i tratti negativi per renderli moniti invalicabili, fortissimi esempi negativi. Indugia anche su elementi cruenti e patetici, come era uso in Grecia e come attestato nella letteratura latina con Lucano.

L’Apokolokyntosis

E’ una satira menippea (con mescolanza di versi e prosa) dove Seneca dà sfogo al suo odio per Claudio. L’interpretazione del titolo è discussa : "trasformazione in zucca", "deificazione di una zucca" o forse una struttura idiomatica tipo "infinocchiare". L’autore mostra una volta ancora la sua abilità nel giostrarsi tra diversi registri e livelli linguistici, sempre mantenendo una caustica ironia e una verve mordente.

LUCANO:

L’unica opera che ci è pervenuta di Lucano è il Bellun civile, rimasto incompiuto per la sua morte. Il progetto originario prevedeva 12 libri come l’Eneide, ma l’opera si interrompe al decimo. Dopo il proemio, l’autore scrive l’elogio a Nerone, delinea i ritratto di Cesare e Pompeo, narra gli eventi del Rubicone fino alla congiura contro Cesare, sedotto da Cleopatra, narra la battaglia di Farsalo, in Tessaglia, e la sconfitta di Pompeo, che secondo Lucano è il punto di partenza per l’eliminazione della libertà repubblicana e l’accentramento del potere nelle mani di un solo individuo. Nel poema Lucano delinea le cause della guerra distinguendole in: sovra storiche, contingenti, sociali e morali. All’interno della parte dedicata alle cause contingenti sono inseriti i ritratti paralleli e contrapposti dei due contendenti, Cesare e Pompeo. Pompeo , viene descritto come un anziano avido di fama e viene paragonato ad un a quercia destinata a cadere ai primi soffi del vento, simbolo di un eroe in declino. Cesare, invece, viene paragonato ad un fulmine per la sua incapacità di stare fermo e di essere un abile condottiero “energico e indomabile”, questa similitudine ha, però , una connotazione negativa poiché da l’immagine del terrore che suscita Cesare al suo arrivo.

Letteratura latina _19

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

De vita beata
Scritta nel periodo in cui il filosofo era a fianco di Nerone, l’opera è divisa in due parti : una teoretica, dove vengono espressi i dettami della dottrina stoica (vita secondo natura, ovvero secondo ragione), l’altra polemica, con riferimenti personali. Seneca contesta chi taccia i filosofi d’incoerenza perché non mettono in atto in prima persona i loro precetti morali : proporsi degli obbiettivi è già un merito, poi non è detto che il filosofo riesca a metterli in atto. "Che c’è di strano se [i filosofi] non arrivano in cima, avendo intrapreso una salita molto ripida?".

I trattati
L’impostazione formale è analoga a quella dei Dialoghi. I titoli sono : De clementia, De beneficiis, Naturales quaestiones.

De clementia
E’ un trattato di filosofia politica dove Seneca esalta la monarchia illuminata, palesando ancora una volta grande modernità di pensiero. Seneca elogia qui Nerone, che possiede la più grande virtù di un sovrano : la clemenza appunto, l’indulgenza cioè che adotta chi ha il potere nell’infliggere le pene.

Le Lettere a Lucilio
Sono l’ultima e più importante opera filosofica di Seneca. E’ una raccolta di 124 lettere, divise tra 20 libri, scritte tra il 62 e il 65 e intestate a Lucilio Iuniore. Sono una serie di riflessioni filosofico-morali. L’autore si presenta come un uomo che dopo aver sprecato gran parte della sua vita negli incarichi pubblici, può finalmente dedicarsi al perfezionamento morale. L’atteggiamento è quello di un maestro verso un suo giovane discepolo, ma tale orientamento può ritenersi genericamente rivolto ai posteri, non solo a Lucilio. Questo evidenzia come le Epistolae fossero state scritte già con l’intento di essere pubblicate (epistole letterarie, al contrario di quelle di Cicerone). E’ la prima volta nella letteratura romana che questo filone, tipico invece in quella greca (il modello principale è Epicuro, come viene dichiarato esplicitamente). Uno dei tratti caratteristici è il riferimento ad episodi personali dai quali la riflessione si allarga per divenire generale insegnamento morale. Il tono è quello del sermo, colloquiale, agile ma non volgare. Coerente con questa scelta stilistica è la mancanza di organicità nella trattazione, tanto nelle singole lettere quanto nella loro disposizione all’interno dell’opera. Tuttavia esiste un filo conduttore, rappresentato dai progressi morali di Lucilio, al quale Seneca si rivolge dapprima come ad un discepolo alle prime armi, ricorrendo sovente a massime brevi e concise. E’ un’esortazione alla filosofia morale (carattere parenetico). Poi, dopo l’epistola 30, Seneca nota compiaciuto i progressi dell’amico e passa a metodi d’insegnamento più impegnativi. I progressi sono intellettuali ma soprattutto morali, questi ultimi testimoniati dalla scelta dell’otium che Seneca caldeggia e alla quale Lucilio (che era procuratore in Sicilia) aderisce infine (come attestato nell’epistola 82). Questo dell’otium si rivela come uno dei temi conduttori dell’opera : Seneca reputa di aver fatto quella scelta troppo tardi, e che con troppo ritardo ha capito che la sapientia è la sola possibilità di raggiungere la virtù. Senza mai nominare Nerone, Seneca si mostra tuttavia leale al potere, attraverso la polemica con gli atteggiamenti di protesta. Preferisce all’adulazione dell’imperatore, la rievocazione di ricordi del padre (al quale era molto legato), dei suoi maestri, della sua amata moglie. Ma soprattutto è alla ricerca del vero bene, la virtù che si raggiunge abbandonando le frivolezze, e mostra di essere restio al contatto con la folla. Aderisce alla dottrina stoica, ma non esita a criticarne le cavillose sottigliezze dialettiche, cita Epicuro (per il quale Lucilio simpatizzava) dicendo che la verità è proprietà comune. E proprio ispirandosi agli epicurei, si prepara alla morte, che assieme al tempo è un altro importante tema dell’opera, dicendo che liberarsi della paura di essa è compito di ogni filosofo : chi ha realizzato l’autarkeia (autosufficienza) non ha nulla da temere né da rimpiangere. E’ importante come si vive, non quanto. Per questo, in alcuni casi è lecito o doveroso decidere di morire.

Letteratura latina _18

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

I Dialogi

Sono una raccolta di opere filosofiche, in tutto dieci distribuite in dodici libri (il De ira è in tre). Non sono dialoghi come quelli platonici, con un’ambientazione storica, anche se fittizia, ma l’autore parla in prima persona rivolgendosi al dedicatario dell’opera. Si incanalano quindi nel filone diatribico della filosofia cinico-stoica, anche per l’impostazione dicorsiva e per la frequente presenza di domande e risposte di un interlocutore fittizio (portavoce delle opinioni comuni spesso).

Consolatio ad Marciam

E’ l’opera più antica. Seneca vuole consolare Marcia, alla quale è morto un figlio. L’opera s’inserisce nella tradizione (tipica nella letteratura greca e attestata in quella latina nella Consolatio di Cicerone) della "consolazione filosofica". Si vuole dimostrare che la morte non è un male, perché è o la fine di tutto o il passaggio ad una vita migliore. Il carattere è retorico e lo stile molto sostenuto, e Seneca mostra la sua perfetta capacità di rielaborare il luogo comune oltre alla padronanza dei mezzi espressivi.

Consolatio ad Polybium
Si rivolge ad un potente liberto di Claudio, per la morte di un fratello. Essendo una consolatio mortis, l’argomentazione è simile a quella utilizzata nell’altra opera citata. La differenza è che qui Seneca aveva il preciso scopo di lodare l’imperatore Claudio, parlando al suo liberto, sperando in una grazia dall’esilio. L’elemento encomiastico è preponderante, tanto che secondo alcuni, l’attribuzione dell’opera non è certa. In realtà questa è la semplice prova che Seneca aveva "subito una sconfitta morale" (Traina).

Letteratura latina _17

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

SENECA

Si tratta di una figura di spicco della letteratura romana essendo, assieme a Cicerone, l’unico esponente della prosa filosofica romana. E’ poi l’unico poeta tragico del quale siano stati conservati tesi in modo non frammentario. Le sue tragedie ebbero grande diffusione già dal Medioevo. Nato da una ricca famiglia provinciale di ramo equestre, dopo aver vissuto i primi anni della sua vita nella natale Cordoba, si trasferì a Roma dove studiò con Papirio Fabiano, Attalo (stoico) e Sozione (neopitagorico). Imparò dai suoi precettori costumi sobri ed austeri, che ben si conciliavano con la sua tendenza alla vita contemplativa. Per non dare un dispiacere al padre, dovette però seguire il cursus honorum e ricoprì la carica di questore, carica che, unitamente alle sue grandi qualità oratorio, lo fece entrare alla corte dell’imperatore. Ebbe però sempre rapporti difficili, dapprima con Caligola (che non lo fece uccidere solo grazie all’intervento di una donna), poi con Claudio, che accusatolo di adulterio, lo esiliò in Corsica nel 41 d.C. L’esilio durò otto anni, quando venne richiamato a Roma con l’incarico di precettore del giovane Nerone. Nel 54, Claudio morì, Nerone, neppure diciottenne, fu incoronato imperatore, e di fatto fu Seneca a reggere l’impero. Nel 59 Nerone fece uccidere la madre, ma Seneca restò al suo fianco finché nel 62 la sua posizione era troppo indebolita dalle brame dell’imperatore e il filosofo chiese di potersi ritirare. Seguirono tre anni (fino alla morte) di intenso studio e produzione letteraria. La sua morte avvenne su ordine di Nerone che lo accusò di essere implicato nella congiura dei Pisoni, ed egli la affrontò con coraggio e serenità, ispirandosi ai grandi filosofi del passato.

Letteratura latina _16

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Caratteristica della favola è la “morale” che qui, come nella maggior parte dei casi, segue l’esempio (l’apologo), spiegandone il significato allegorico o simbolico. La visione e l’interpretazione della vita che emergono dalle favole corrispondono al punto di vista degli umili, dei poveri, degli esclusi da potere. Non troviamo mai nelle favole  un atteggiamento  propriamente satirico, ossia aspro e pungente. La morale che si ricava dal complesso della favola è piuttosto amara e pessimistica, ma anche rassegnata, basata sulla constatazione che la legge del più forte domina sovrana nel mondo. Il povero e il debole, se vogliono sopravvivere evitando guai peggiori, devono saper stare al loro posto, accettando le regole del gioco e cercando nella prudenza e nell’astuzia i mezzi per difendersi dall’ingiustizia e dalla prepotenza.

Letteratura latina _15

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Fedro si propone come scopo, dichiarandolo nel prologo, di divertire, ma al tempo stesso di monēre, cioè ammonire, consigliare, proponendosi in questo modo di realizzare quella mescolanza di diletto e utilità che Orazio indicava come obiettivo di ogni poeta. Questo duplice intento, di “correggere gli errori degli uomini” e di “dar piacere all’orecchio”, viene ribadito anche ne prologo del II libro, nel quale ribadisce la sua dipendenza da Esopo, ma precisa di voler aggiungere qualcosa di suo, oltre a ciò che trova nel modello, “in modo che la varietà degli argomenti rechi diletto a chi legge”. La varietas e la brevitas risultano in effetti i capisaldi della poetica fedriana. La varietas è data dall’intento di superare gli schemi ripetitivi della favola animalesca, e si manifesta chiaramente nel passaggio dal I libro, quasi interamente dominato dagli animali parlanti, ai successivi, in cui compaiono spesso altri personaggi. Protagonisti di numerosi aneddoti sono Esopo, Socrate, divinità dell’Olimpo, personaggi mitologici; troviamo inoltre alcune storielle e raccontini non fantastici ma realistici. Poco numerosi ma molto interessanti sono gli aneddoti storici di ambientazione romana, che hanno per protagonisti Pompeo Magno e due imperatori  contemporanei di Fedro: Augusto e Tiberio. La varietas è dunque il criterio a cui Fedro si appella per rinnovare, almeno in parte, il genere tradizionale attuando per questa via l’aemulatio del modello. L’emulazione non si esercita però soltanto con l’ampliamento dei contenuti, ma anche nel campo delle scelte formali. Fedro, infatti, pur adottano uno stile semplice, adeguato agli argomenti non elevati, non rinuncia alla cura e all’elaborazione stilistica, ma si attiene al criterio della brevitas, ossia alla capacità di condensare in breve i contenuti  narrativi e gli insegnamenti morali, così da ottenere l’attenzione e il consenso dei lettori grazie alla stringatezza e alla tensione stilistica. La brevitas si manifesta specialmente nei dialoghi scritti in un linguaggio colloquiale che talvolta assume movenze efficacemente realistiche.

Letteratura latina _14

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Fedro:

Scrisse sotto gli imperatori giulio-claudi. Fedro è il principale rappresentante di un genere minore, la favola, che introduce per primo nella letteratura latina.  Nato in Macedonia, arrivò a Roma da bambino molto probabilmente come schiavo. E’ probabile che sia stato un liberto di Augusto e che, come molti liberti di madrelingua greca, si sia dedicato all’insegnamento. Da ciò si suppone che la sua produzione sia iniziata proprio dall’esercizio della professione, in quanto le favole, sia in Grecia che a Roma, venivano usate come libri di testo nelle scuole. Fedro non ottenne né fama né ricompense per la sua produzione, ma per contro venne perseguitato da Seiano, ministro di Tiberio, che urtato da alcuni componimenti satirici, lo fece processare e condannare con un’accusa pretestuosa. Ci sono pervenuti cinque libri d favole scritte in versi per un totale di un centinaio di componimenti.
La favola: caratteristiche dell’opera
Il modella a cui Fedro si ispira è Esopo, uno scrittore greco che gli antichi consideravano l’iniziatore della favola letteraria e grazie al quale la favola divenne un vero e proprio genere letterario a sé stante, costituto da brevi racconti di fantasia, dotati di un significato pedagogico e morale. Essi proponevano infatti modelli di comportamento positivi o negativi, esemplificavano massime e proverbi, esprimevano una visione della vita ispirata ad una saggezza tipicamente popolare, non senza spunti di critica sociale e di protesta degli umili e dei deboli contro i prepotenti e i potenti. La forma più caratteristica della favola esopica è quella dell’apologo animalesco, che ha per protagonisti gli animali parlanti, raffigurati secondo una tipologia convenzionale che li rende simboli trasparenti di caratteri e di atteggiamenti umani. La tradizione esopica comprendeva però anche storielle di altro tipo, tra cui una serie di aneddoti relativi all’autore stesso. L’opera di Esopo era in prosa.

Letteratura latina _13

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

L'età degli Antonini (II secolo d.C.).

Il secolo si aprì nell'ordine politico e militare di Traiano e Adriano e si chiuse con l'anarchia militare che precedette i Severi. Il linguaggio letterario manifesta il declino della spiritualità romana in corso. Se nell'età di Cesare e di Cicerone il centro ideale della pagina letteraria era il periodo dalla complessa architettura (segno di ordine razionale e di fiducia in quell'ordine), e se nell'età di Seneca, col suo gusto anticlassico, il centro era il periodo breve e sentenzioso, centro ideale della pagina divenne ora la parola, il cui culto retorico ed erudito esprimeva la disintegrazione della spiritualità. Sarebbe stato il cristianesimo, con la sua forza trascinante, a ridare vitalità alla cultura latina.
Il II secolo manifesta in più casi un gusto arcaizzante: ama le parole antiche, ma il passato non è attivo; e l'irrazionalismo si accompagna al recupero un po' rigido della parola di un tempo. L'imperatore Marco Aurelio esprime non tanto il vecchio ideale della ragione al potere quanto l'abito mentale di un mistico: suggestivi, al riguardo, sono i suoi Ricordi.
Comparve in questo periodo la figura dell'intellettuale itinerante, a metà tra il maestro di retorica e il mago. Tale è il romanziere Apuleio, autore delle Metamorfosi o L'asino d'oro (titolo, il secondo, invalso nelle traduzioni), affascinante narrazione romanzesca e fantastica (vi è contenuta anche la celebre novella di Amore e Psiche). L'amore per la parola, specie se rara e antica, si affianca al gusto erudito e antiquario, fonte per noi di notizie preziose. Tali sono le Noctes Atticae (Le notti attiche) di Aulo Gellio. Un giocoliere della parola è invece il retore Frontone. Amore per la grazia e la musicalità della parola, non senza leziosità sentimentale, manifestano i cosiddetti "poeti novelli", alla cui sensibilità si accosta l'anonimo autore del Pervigilium Veneris (Vigilia della festa di Venere).

Letteratura latina _12

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Questa età vanta la straordinaria figura di Marziale, il maggiore scrittore latino di epigrammi, dalla inesausta inventiva e anch'egli interprete, come Plinio il Giovane, ma su un altro piano, della società romana contemporanea. Documenta il sempre dominante gusto retorico e diatribico anche il maggior scrittore di satire dopo Orazio, Giovenale, che espresse in forme violente lo sdegno del provinciale per il degrado morale della metropoli.
Tra i numerosi storici spicca Tacito, il maggiore storico latino dell'età imperiale, che con un linguaggio denso, volutamente asimmetrico e vicino ai confini della poesia, di impianto non ciceroniano, tracciò un bilancio amaro del primo secolo dell'età imperiale, vagheggiando, pur nella coscienza di un impossibile ritorno, i valori politici e morali dell'età repubblicana. Diversa tempra di storico, ma grande felicità narrativa tra curiosità e pettegolezzo e puntualità nell'informazione, rivela Svetonio col De vita Caesarum (conosciuto col titolo Le vite dei dodici Cesari), dal carattere aneddotico ed erudito.

Letteratura latina _11

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

L'età dei Flavi e di Traiano (69-117 d.C.).

Fu questa l'età di massima espansione dell'impero e insieme l'età in cui la forza vitale delle province supera quella dell'Italia, in cui il Senato era ormai largamente provinciale e in cui da un lato crebbe l'apporto culturale delle province romanizzate e, dall'altro, si fece più marcata l'indipendenza della cultura latina da quella greca. Sul piano politico i Flavi valorizzarono la centralità, in crisi, dell'Italia e stabilirono un rapporto meno conflittuale col Senato (con l'eccezione di Domiziano), sicché si preparò il passaggio al principato elettivo (scelta temporanea) con Traiano.
Dopo l'anarchia dell'anno 69 d.C., Vespasiano riorganizzò lo stato e favorì un'opera di restaurazione culturale, che consisteva nell'assegnare una preminenza e una funzione di modello agli scrittori dell'età classica, quella di Cesare e di Augusto. In particolare, divennero punti di riferimento incontrastati Cicerone per la prosa e Virgilio per la poesia. A Virgilio guardarono una serie di narratori in versi quali Valerio Flacco, Silio Italico e Stazio. L'opera di quest'ultimo, e soprattutto la Tebaide, ebbe una particolare fortuna nel Medioevo, anche per la sua ortodossia virgiliana sul piano linguistico.
Grande importanza per la restaurazione del gusto classicista ebbe, con il suo trattato Institutio oratoria (Istituzione oratoria), Quintiliano (nato in Spagna), il primo retore a ricoprire una cattedra a spese dello stato. Con lui prese avvio quella canonizzazione di Cicerone, sul piano del gusto linguistico e retorico, che sarebbe durata per secoli, attraverso l'Umanesimo fino, nella sostanza, all'insegnamento attuale del latino nelle scuole superiori. Grande erudito e maestro della prosa scientifica e didattica fu Plinio il Vecchio, la cui Naturalis historia (Storia naturale) svolse un ruolo enciclopedico fondamentale per generazioni e costituisce per noi una fonte ricchissima di notizie altrimenti perdute. Il nipote Plinio il Giovane è autore di un raffinato epistolario, il più importante, per l'informazione e l'abilità letteraria, dopo quello ciceroniano, al quale per vari aspetti fa riferimento.

Letteratura latina _10

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

L'intellettuale che interpretò meglio, in modo simbolico, la sua età fu il filosofo Seneca (4 a.C. - 65 d.C.), nato in Spagna e figlio del più celebre retore del tempo. A lui si deve l'elaborazione del linguaggio dell'interiorità (evento fondamentale per la cultura occidentale) e l'identificazione della libertà con la libera dignità interiore. Maggior rappresentante dello stoicismo romano, Seneca ripropose, in forma moderna e in chiave politica, la figura ideale del saggio come colui che è capace di indipendenza interiore e si attrezza a un libero confronto con la morte oltre i condizionamenti del potere. Egli fu anche maestro di un nuovo stile che gioca sulla paratassi breve, sulla riproposizione variata del pensiero e su una tensione concettuale di gusto epigrammatico e sentenzioso. E ancora, è autore di cupe e tese tragedie che per secoli influenzarono la produzione drammatica europea.
Accanto a Seneca va ricordato, per la sensibilità modernista, Lucano, autore della Pharsalia o Bellum civile, poema epico sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo; di taglio nuovo già nel tema, l'opera si caratterizza per l'esibizione retorica del suo impianto e per un patetismo espressionistico che segnano da soli la distanza dal gusto classico e che sono capaci di esprimere la violenza drammatica del potere e in genere della vita. L'educazione retorica si manifesta attraverso una complicata oscurità di linguaggio in un altro giovane, Persio, autore di poche satire dettate più da una tensione intellettuale che non dalla conoscenza della vita. Diversa, ma altrettanto nuova e certo originale, è la rappresentazione che del presente offre Petronio col suo Satyricon, opera che per genere si ricollega liberamente al romanzo greco e alla satira menippea e che, con sfoggio di raffinatezza intellettuale, offre un quadro realistico del mondo plebeo italico: al di là di ogni intenzione ideologica, l'opera è anche un quadro della società contemporanea in movimento.

Letteratura latina _9

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

L'età giulio-claudia (14-69 d.C.).
La figura carismatica di Augusto aveva dato avvio a una fase di fatto monarchica dell'impero romano, benché venisse mantenuto tutto l'impianto della facciata repubblicana e il sovrano avesse assunto il titolo di princeps, cioè "il primo (tra i cittadini)" o di imperator, cioè "comandante militare (supremo)". Di fatto il potere reale era ora nelle mani di uno solo, che lo trasmetteva per via ereditaria. La trasformazione rivoluzionaria della costituzione politica di Roma era riuscita ad Augusto, perché egli aveva saputo garantire la pace al termine di un estenuante periodo di guerre civili e perché era riuscito a gestire il potere assicurando ampi spazi alla vecchia classe dirigente (romana e italica) espressa dal Senato, in una fase di grande espansione economica. Ma gli imperatori successivi (a cominciare da quelli della famiglia giulio-claudia) non avevano né il suo carisma, né i suoi meriti storici. Cominciò quindi un braccio di ferro per il potere tra il Senato e gli imperatori, che si appoggiarono alla fedeltà dell'esercito, irrigidirono le loro posizioni assolutiste e perseguitarono quegli intellettuali che da posizioni filorepubblicane contestavano il potere. Per la prima volta dopo Augusto, gli intellettuali cominciarono a essere all'opposizione ed espressero un'inquieta sensibilità per il presente.
La letteratura rimase aristocratica nel gusto e nelle forme, con l'unica eccezione di Fedro, che rielaborò in modo originale in versi latini le favole popolari del greco Esopo con testi (ne abbiamo 5 libri) accolti, non a caso, poco benevolmente dalla cultura ufficiale. Per l'influenza delle scuole di retorica (che, nelle mutate condizioni storiche, occuparono progressivamente gli spazi che erano stati propri, in età repubblicana, dell'oratoria), per il trasformarsi della sensibilità e dei valori, oltre che per il ruolo svolto dalla filosofia, sempre più attenta ai problemi individuali dell'uomo, nacque una letteratura nuova caratterizzata da un gusto modernista, anticlassico e anticiceroniano.

Letteratura latina _8

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

LA LETTERATURA NELL’ETA’ GIULIO-CLAUDIA

- età giulio-claudia, comprende:
    a. età di Tiberio e di Claudio (dal 14 al 68): l'assolutismo del principe si traduce in una letteratura conformistica o ideologicamente neutra (erudizione, opere grammaticali, ecc…): unica voce originale è, forse, quella di Fedro;
    b. età di Nerone (54-68): è contrassegnata da un rinnovamento delle lettere, specie negli anni in cui la presenza di Seneca al potere assicurò una certa libertà agl'intellettuali ed agli artisti. Figure esemplari furono Seneca, Persio, Lucano e Petronio;
- età dei Flavi (69-96): è caratterizzata da una razionalizzazione del potere assoluto che assume forme sempre più dispotiche (Domiziano). L'attività culturale non sfugge a tale logica, e la produzione letteraria è quindi prevalentemente accademica o conformistica (Quintiliano);
- età degli Antonini (II sec.): dopo la rinascita legata al dispotismo illuminato di Nerva e di Traiano (appartengono a questo periodo l'attività di Tacito, di Plinio il Giovane e di Giovenale), prevale una certa stanchezza provocata da una più generale crisi di ideali. Accanto alla erudizione storica o grammaticale, troviamo la ricerca esasperata di forme nuove (poetae novelli) capaci di mascherare col loro virtuosismo tecnico la povertà dei contenuti. Spicca in tale panorama l'attività di Apuleio, che testimonia l'inquietudine religiosa e, più in generale, la crisi ideale.

Letteratura latina _7

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Obbediscono entrambi e, mentre gli dèi (li) precedono, sostengono le membra con dei bastoni, e, lenti a causa degli anni senili, si sforzano di muovere i passi attraverso il lungo pendio. Erano lontani dalla vetta tanto quanto può percorrere una freccia lanciata una sola volta: volsero
[=volgono] gli occhi e vedono che tutte le altre cose (sono) sommerse da una palude, (e) che solo la loro casa rimane (risparmiata dalle acque). E mentre osservano con meraviglia queste cose, mentre piangono le sorti dei loro (vicini), quella vecchia casa, piccola anche per i (suoi) due padroni, si trasforma in un tempio: ai puntelli forcuti subentrarono [=subentrano] delle colonne, le paglie (della copertura) diventano gialle, e si vedono i tetti ricoperti d’oro, e le porte cesellate, e il suolo rivestito di marmo. Il figlio di Saturno [=Giove], con voce gentile, disse allora tali cose: «O vecchio giusto e
(tu), donna degna di un giusto marito, dite (pure) che cosa desiderate». Dopo essersi consultato brevemente con Bàuci, Filèmone manifesta ai celesti la (loro) comune decisione: «Chiediamo di essere sacerdoti e di custodire i vostri templi [=il vostro tempio], e, poiché siamo vissuti per (tanti) anni in armonia, la stessa ora porti via entrambi, e (io) non veda mai le tombe [=la tomba] di
mia moglie, né lei debba seppellire me [lett. “né (io) sia da seppellire da lei”]». L’esaudimento segue le preghiere. Furono la custodia [=custodi] del tempio, finché fu (loro) concessa vita; (poi), sfiniti dagli anni e dall’età, mentre per caso stavano in piedi davanti ai sacri gradini e raccontavano le vicende del luogo, Bàuci vide che Filèmone metteva fronde, il più vecchio Filèmone (vide) che Bàuci metteva fronde. E mentre cresceva già una cima (d’albero) sui (loro) due volti, finché fu possibile (essi) si scambiavano [=si scambiarono] reciproche parole, e dissero simultaneamente «Addio, o consorte», (e) simultaneamente un arbusto intessé le (loro) bocche, (ormai)
nascoste [=coprì e ricucì le loro bocche]. Ancora oggi, in quel luogo, l’abitante di Tino mostra i (due) tronchi vicini (originati) dal (loro) doppio corpo [=dai loro due corpi].

Letteratura latina _6

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

A narrare il mutare delle forme in corpi nuovi mi spinge l'estro. O dei, se vostre sono queste metamorfosi, ispirate il mio disegno, così che il canto dalle origini del mondo si snodi ininterrotto sino ai miei giorni. Prima del mare, della terra e del cielo, che tutto copre, unico era il volto della natura in tutto l'universo, quello che è detto Caos, mole informe e confusa, non più che materia inerte, una congerie di germi differenti di cose mal combinate fra loro. Non c'era Titano che donasse al mondo la luce, né Febe che nuova crescendo unisse le sue corna; in mezzo all'aria, retta dalla gravità, non si librava la terra, né lungo i margini dei continenti stendeva Anfitrite le sue braccia. E per quanto lì ci fossero terra, mare ed aria, malferma era la prima, non navigabile l'onda, l'aria priva di luce: niente aveva forma stabile, ogni cosa s'opponeva all'altra, perché in un corpo solo il freddo lottava col caldo, l'umido col secco, il molle col duro, il peso con l’assenza di peso.
“Metamorfosi”: VIII, vv. 677-720. “Filemone e Bauci”
In mezzo sta un candido favo; oltre a tutte (queste) cose, si aggiunsero facce buone (e) un’intenzione non inoperosa [=sollecita] e (non) scarsa [=generosa]. Frattanto si accorgono che il boccale, tante volte giunto al fondo, si riempie da solo, e che i vini spuntano da se stessi: sbigottiti
dall’evento prodigioso, sia Bàuci che il timido Filèmone provano paura e, con le mani volte all’insù, pronunziano preghiere e chiedono perdono per (quelle) vivande e per gli inesistenti preparativi (cerimoniali) [=per un servizio così umile, così informale]. C’era un’unica oca, guardiana di
(quella) piccolissima cascina: i proprietari avevano intenzione di ucciderla in onore degli ospiti divini. Essa, rapida con l’ala, spossa (i coniugi), lenti a causa dell’età, e (li) schiva a lungo, e alla fine sembrò essersi rifugiata accanto agli stessi dèi [=proprio accanto agli dèi]: i celesti proibirono che fosse uccisa e dissero: «(Noi) siamo dèi, ed i (vostri) empi vicini sconteranno le meritate punizioni; (ma) a voi sarà concesso di essere esentati da questo male. Lasciate subito i vostri tetti [=la vostra casa], e seguite i nostri passi, ed andate insieme sulle parti più alte del monte!».

Letteratura latina _5

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Strani, questi amori delle "Metamorfosi", spesso impossibili o abnormi: di Eco, innamorata di Narciso, non resterà che una voce, ma anche Narciso, invaghito di se stesso sino a lasciarsi morire, si ridurrà a un fiore. Sono, in prevalenza, amori fatti sopra tutto di sensazioni, di attrazione per le forme, più che di turbamenti dell'anima: cosi è di Pigmalione, incantato da una statua d'avorio che egli stesso ha scolpito, una statua che sotto le sue mani diviene a poco a poco realtà palpitante di donna viva; cosi è della ninfa Salmacide, che nell'acqua avvinghia con febbrile trasporto le sue membra a quelle dell'amato fanciullo, sino a divenire un'unica, anomala realtà che mai potrà sciogliersi: l'Ermafrodito; così e dell'amore innocente di Piramo e Tisbe, due giovani babilonesi che intensamente si amano, nonostante l'opposizione dei genitori: muoiono entrambi a causa di un tragico equivoco e, per il sangue uscito dai loro corpi, le bacche del gelso (l'albero del loro fatale incontro) da bianche divengono scure. Tutto questo è solo un breve accenno alla costellazione di miti e trasformazioni che puntellano ed impreziosiscono il racconto. Infine, si può deplorare che l'opera non ha potuto avere l'ultima lima del poeta, quando questi subì la condanna. Anzi, essa sarebbe andata perduta (se è vero che O., in un momento d'ira contro la prosapia d'Augusto da lui pur glorificata, l'aveva gettata alle fiamme), se non fosse stata pubblicata, dietro incarico del poeta stesso da Tomi, a cura d'un amico, che ne possedeva fortunatamente una copia.
“Metamorfosi”: I, vv. 1-20. “Tutto può cambiare”

Letteratura latina _4

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Della trasformazione, O. mette in risalto ora il carattere repentino ora, ancor più, la lentezza graduale, il persistere talora sofferto dell'antica natura nella nuova. Dell'essere umano, che si trasforma in essere arboreo o inanimato, il poeta avverte l'intimo dolore, la coscienza di divenire altro in una trasmutazione che sembra investire le radici stesse dell'universo.
La natura ovidiana appare percorsa dai fremiti arcani delle tante creature d'amore e di dolore che essa cela nel suo grembo. E’ qui che il mondo di O., così in apparenza legato alle forme e alle superfici, ai suoni e ai colori, rivela dimensioni insospettate. Sì, certo, in O. il mito, oltre che umanizzarsi, si atteggia a splendida favola, ad affresco fastoso (gli dèi e gli eroi, scomparsa ogni motivazione religiosa del mito, servono solo ad alimentare la sfarzosa immaginazione del poeta); e tuttavia, specie in alcuni casi, il brillante gioco delle superfici s'accompagna, in singolare simbiosi, a una sensibilità inquieta di creature tormentate, che trovano nel trasformarsi l'unica via d'uscita a una situazione impossibile, a una passione assurda: nel divenire altra cosa rispetto a una realtà divenuta umanamente intollerabile, esse ritrovano finalmente il loro riscatto.
Cosi è di Biblide, consumata da folle amore per il fratello Cauno, tramutata dal tanto piangere in fonte; così di Mirra, pazza del padre Cinira, che al termine di una sciagurata vicenda chiede agli dèi di venir trasformata in pianta. Accanto al mito, l'amore è dunque 1'altro grande tema del poema, ma non l'amore, fatto di corteggiamenti e galanterie, cantato negli "Amores" e nell’ "Ars", bensì l'amore del mito (come già nelle "Heroides"), un amore che conosce un'ampia gamma di modulazioni, dalla passione malata, all'incantamento, alla dedizione generosa, alla fedeltà coniugale: vivido esempio quello di Alcione e Ceice, che solo grazie alla loro trasformazione in uccelli potranno perpetuare per sempre i1 loro amore coniugale, così come solo la trasformazione in alberi unirà in un vincolo eterno Filemone e Bauci; e in albero d'alloro si trasforma Dafne, la ninfa che Apollo pur continuerà ad amare.

Letteratura latina _3

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

L'opera, così, inizia dalla più antica trasformazione, quella del Chaos primitivo nel cosmo, sino a pervenire alla trasformazione in astro (= "catasterismo") di Cesare divinizzato e alla celebrazione di Augusto, ripercorrendo in tal modo tutte le fasi del mito e della storia universale, attraverso il motivo conduttore della mutazione continua. II poeta si dichiara convinto, già nei primi versi dell'opera, di comporre un "carmen continuum", un'opera, cioè, profondamente unitaria, anche - come visto - dal punto di vista "cronologico". Significativo, ai fini degli intenti unitari del poeta, è il discorso che, nel XV libro, O. pone sulle labbra di Pitagora, e che contiene una particolare concezione dell'universo, inteso appunto come luogo di eterna trasformazione. Al di là di questa intelaiatura di indole filosofica, al di là delle dichiarazioni stesse del poeta, le "Metamorfosi", nonostante apparenti disuguaglianze strutturali (per cui, mentre alcuni miti sono largamente esplicitati, altri sono di sfuggita accennati in pochi versi), restano tuttavia un poema unitario e di superiore armonia. II poeta salda, con rara sapienza alessandrina, un episodio all'altro con legami talora sottili, ma efficaci: ora un mito è richiamato per analogia, ora per identità di contenuto, ora per incastro in altro mito che fa da cornice, ora è esposto da un personaggio di altra vicenda. Un racconto scaturisce dall'altro in una dimensione che pare dilatarsi all'infinito. Dominano nell'opera la gioia di narrare, una gioia morbida, perennemente variata ed elegante; una fantasia ora lieve e sfuggente come un sogno, ora corposa e sensuale, che insiste su scenari contemplati nel loro sontuoso rigoglio o invece immersi in un'atmosfera di fiaba; un'arte plastica che indugia nel ritrarre la spettacolare storia delle mutazioni che il poeta stesso contempla stupefatto, incantato o addolorato per la sofferenza di creature che cambiano, coscienti, il loro aspetto. Il tutto con un acuto senso della provvisorietà, della mutevolezza di ciò che appare ai sensi e che a un tratto si scompone per diventare altro da sé.

Letteratura latina _2

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Metamorfosi:
 Le "Metamorfosi" ("Metamorphoseon libri XV"), il "poema delle trasformazioni", che O. iniziò a comporre intorno al 3 d.C., sono in 15 libri di esametri (unica opera, nella sua produzione, scritta in questi versi), contenenti circa 250 miti uniti tra loro dal tema della trasformazione: uomini o creature del mito si mutano in parti della natura, animata e inanimata. Opera in apparenza disorganica e "barocca", frutto quasi di un'obbedienza eccessiva alle norme della "varietas", le "Metamorfosi" rivelano invero la loro unità nella concezione di una natura animata, fatta di miti divenuti materia vivente, partecipe di un tutto che si trasforma: una natura intesa come archivio fremente di storie trascorse, ove è possibile avvertire la presenza di una creatura mitica in un albero, in una fonte, in un sasso. Numerose possono essere considerate le "fonti" ovidiane: raccolte di miti circolavano in repertori che O. deve aver certamente conosciuto; il tema della trasformazione era poi caro alla letteratura alessandrina (basti pensare a Callimaco e a Eratostene, e poi alle "Trasformazioni" di Nicandro di Colofone e di Partenio di Nicea), ma era stato trattato pure nel mondo latino da Emilio Macro e, occasionalmente, dai neoteroi, da Catullo e da Virgilio (nella poesia omerica era poi il modello di ogni trasformazione: quella, operata dalla maga Circe, dei compagni di Ulisse in porci).
E tuttavia nuovo è il risultato dell'operazione ovidiana, che si sviluppa all'insegna della più fervida e colorita fantasia, con uno stile e un metro (un esametro insuperabile per musicalità) che con la loro sapientissima "facilità" sembrano mirabilmente accompagnare la perpetua vicenda delle mutazioni e l'illusorietà delle forme, soggette a continui cambiamenti, in una continuità quasi organica che lega l'uomo alla natura.

Letteratura latina _1

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Ovidio nacque da antica e agiata famiglia equestre (in un'elegia dei "Tristia", è il poeta stesso a trasmetterci notizie sulla sua vita). A Roma, ove si recò col fratello (31 a.C.), studiò grammatica e retorica presso insigni maestri, come Arellio Fusco e Porcio Latrone. Destinato alla carriera forense e politica, O. avvertì invece subito imperiosa l'inclinazione verso la poesia, al punto che tutto ciò che tentava di dire era già in versi ("et quod temptabam dicere versus erat"). L'incontro con Roma e con la poesia. Dopo il rituale viaggio di perfezionamento ad Atene a 18 anni, il nostro rientrò a Roma, ove esercitò solo qualche magistratura minore: fu dei "tresviri" ("capitales"?), e dei "decemviri stlitibus iudicandis", ma rimase pago dell'ordine dei cavalieri e non mirò al senato, alieno "sollicitae… ambitionis". Ad alimentare la sua vocazione poetica fu Valerio Messalla Corvino; ma O. fu vicino pure a Mecenate, e conobbe i maggiori poeti dell'epoca, come Orazio, Properzio, Gallo (Virgilio lo intravide appena). Ebbe tre mogli: dopo due matrimoni sfortunati ( da cui ebbe però una figlia), sposò una giovane fanciulla della "gens Fabia", che amò teneramente sino alla fine. Il legame coniugale non gli impedì di essere il poeta galante, cantore di una Roma ormai dimentica delle guerre civili, vogliosa soltanto di vivere e di godere. Il triste declino: "carmen et error" e "relegatio". Nell'8 d.C., quando ogni cosa sembrava sorridergli, il poeta fu colpito da un ordine di Augusto (revocato neanche dal successore Tiberio), che lo relegava a Tomi, l'attuale Costanza, sulle coste del Ponto (il Mar Nero). Si trattò, è vero, di una "relegatio" che, a differenza dell’ "exilium", non prevedeva la perdita dei diritti di cittadino e la confisca dei beni. E tuttavia, di fatto, O. fu costretto a rimanere isolato in una terra selvaggia e inospitale, nella più cupa tristezza, sino alla morte. Ignoti restano i motivi del severo provvedimento di Augusto, anche se O. parla, enigmaticamente, di due colpe che l'avrebbero perduto: "carmen et error". Nel "carmen" deve essere allusione all’ "Ars amatoria", il suo trattato sull'amore libertino che, contemporaneamente alla condanna, venne ritirato dalle biblioteche pubbliche: trattato, evidentemente, in contrasto col coevo programma augusteo di restaurazione morale dei costumi (ma evidentemente l'accusa mascherava più vere ragioni personali). Riguardo l’ "error", l'ipotesi più verosimile è che O. sia stato coinvolto - come testimone o addirittura complice - in uno scandalo di corte, che l'imperatore aveva tutto l'interesse a mantenere segreto: fatto è che, nello stesso anno, pure Giulia minore, nipote di Augusto, fu relegata nelle isole Tremiti, accusata di adulterio con un giovane patrizio.

Publio Virgliio Marone (citazioni)_7

Posted by Massimo Meridio On lunedì 26 marzo 2012 0 commenti

Ciascuno ha fissato il suo giorno. (X, 467).
Stat sua cuique dies.


Ogni difficoltà è vinta dall'aspro lavoro, e dal bisogno che incalza nelle dure vicende. (I, 145-146).
Labor omnia vincit | Improbus, et duris urgens in rebus egestas.

Te, Lario grandissimo. (II, 159)
Te, Larii maxime.

O Benaco, che gonfi le tue onde e fremi come il mare. (II, 160)
Fluctibuset fremitu adsurgens, Benace, marino.

Salve, terra Saturnia, grande madre di grani e di uomini. (II, 173-174)
Salve, magna parens frugum, Saturnia tellus, | Magna virum.

Loda i grandi poderi, ma coltivane uno piccolo. (II, 412-413)
Laudato ingentia rura, | Exiguum colito.

O troppo fortunati agricoltori se conoscessero la loro felicità! (II, 458-9)
O fortunatos nimium, sua si bona norint | Agricolas!

L'amore per tutti è lo stesso. (III, 244)
Amor omnibus idem.

Ma fugge intanto, fugge irrecuperabile il tempo. (III, 284)
Sed fugit interea, fugit inreparabile tempus.

Il lavoro è tenue, ma darà non tenue gloria. (IV, 6)
In tenui labor, at tenuis non gloria.


Ma un dio penetra in ogni cosa, nelle terre e negli spazi di mare e nel cielo profondo. (IV, 221-2)
Deum namque ire per omnia, terrasque tractusque maris caelumque profundum.

Per la morte non c'è spazio, ma le vite volano e si aggiungono alle stelle nell'alto cielo. (IV, 226-7)
Nec morti esse locum, sed viva volare sideris in numerum atque alto succedere caelo.

Publio Virgliio Marone (citazioni)_6

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Tu non cedere alle disgrazie, ma va' loro incontro con più coraggio. (VI, 95)
Tu ne cede malis, sed contra audentior ito.

Scendere agli Inferi è facile: la porta di Dite è aperta notte e giorno; ma risalire i gradini e tornare a vedere il cielo – qui sta il difficile, qui la vera fatica. (VI, 126-129)
Facilis descensus Averno:
noctes atque dies patet atri ianua Ditis;
sed revocare gradum superasque evadere ad auras,
hoc opus, hic labor est.

Perdonare quelli che si sottomettono e sconfiggere i superbi. (VI, 853)
Parcere subiectis et debellare superbos.


La paura aggiunse ali ai piedi. (VIII, 224)
Pedibus timor addidit alas.

Così si sale alle stelle (IX, 641)
Sic itur ad astra.

La fortuna aiuta gli audaci. (X, 284)
Audentes fortuna iuvat.

Publio Virgliio Marone (citazioni)_5

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Tu mura grandi a grandi prepara. (III, 159-160)
Tu moenia magnis magna para.

I fati troveranno la via. (III, 395)
Fata viam invenient.


La donna è sempre cosa varia e mutevole. (IV, 569-570)
Varium et mutabile semper | Femina.

Sorga dalle nostre ossa un qualche vendicatore! (IV, 625)
Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor!


Guerre, orrende guerre. (VI, 86)
Bella, horrida bella.

Publio Virgliio Marone (citazioni)_4

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Sono il pio Enea, noto per fama oltre i cieli, e con la flotta mi porto appresso i Penati scampati al nemico. Cerco la patria Italia e gli avi miei, nati dal sommo Giove. (I, 378-380)
Sum pius Aeneas, raptos qui ex hoste Penates
classe veho mecum, fama super aethera notus.
Italiam quaero patriam et genus ab Iove summo.

Non credete al cavallo, o Troiani. Io temo comunque i Greci, anche se recano doni. (II, 48-49)
Equo ne credite, Teucri.
Timeo Danaos et dona ferentes.

Da uno capisci come son tutti. (II, 64-65)
Ab uno disce omnis.

La sola speranza per i vinti è non sperare in alcuna salvezza. (II, 354)
Una salus victis nullam sperare salutem.

A cosa non spingi i cuori degli uomini, o esecrabile fame dell'oro! (III, 56-57)
Quid non mortalia pectora cogis,
Auri sacra fames!

Publio Virgliio Marone (citazioni)_3

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Sta riposta nel profondo dell'animo la memoria del giudizio di Paride, e dell'ingiuria fatta alla sua spregiata bellezza. (I, 26-27)
Manet alta mente repostum | Judicium Paridis spretaeque injuria formae.

Forse un giorno ci allieterà ricordare tutto questo. (I, 203)
Forsan et haec olim meminisse iuvabit.

Perseverate, e serbatevi a migliore avvenire. (I, 207)
Durate, et vosmet rebus servate secundis.

Al loro dominio non pongo né limiti di spazio né di tempo: | ho promesso un impero infinito. (I, 278-9)
His ego nec metas rerum nec tempora pono: / imperium sine fine dedi.

Publio Virgliio Marone (citazioni)_2

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Si nasconde una serpe nell'erba.
Latet anguis in herba. (III, 93)

Il lupo non si preoccupa di quante siano le pecore.
Lupus ovium non curat numerum. (VII, 51)

Non tutti possiamo ogni cosa.
Non omnia possumus omnes. (VIII, 63)

Tutto porta via il tempo, anche l'animo.
Omnia fert aetas, animum quoque. (IX, 51)

Non cantiamo ai sordi.
Non canimus surdis. (X, 8)

L'amore vince tutto: e anche noi cediamo all'amore.
Omnia vincit Amor: et nos cedamus Amori. (X, 69)

Publio Virgliio Marone (citazioni)_1

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Ognuno è tratto dal suo piacere. (Egloga II, 65)
Trahit sua quemque voluptas.
Si rinnova il gran giro dei secoli. (Egloga IV, 5)
Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo.

Il destino trova sempre la sua strada.

Non affidarti troppo al colore, all'apparenza delle cose.
Nimium ne crede colori. (II, 17)

Ognuno è attratto da ciò che gli piace.
Trahit sua quemque voluptas. (II, 65)

Chiudete i ruscelli, o fanciulli, i prati hanno bevuto abbastanza.
Claudite iam rivos, pueri, sat prata biberunt. (III, 111)

Sermones _Horatius (testo_latino)_1_6

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Ummidius quidam; non longa est fabula: dives       95
ut metiretur nummos, ita sordidus, ut se
non umquam servo melius vestiret, ad usque
supremum tempus, ne se penuria victus
opprimeret, metuebat. at hunc liberta securi
divisit medium, fortissima Tyndaridarum.       100
'quid mi igitur suades? ut vivam Naevius aut sic
ut Nomentanus?' pergis pugnantia secum
frontibus adversis conponere: non ego avarum
cum veto te, fieri vappam iubeo ac nebulonem:
est inter Tanain quiddam socerumque Viselli:       105
est modus in rebus, sunt certi denique fines,
quos ultra citraque nequit consistere rectum.
illuc, unde abii, redeo, qui nemo, ut avarus,
se probet ac potius laudet diversa sequentis,
quodque aliena capella gerat distentius uber,       110
tabescat neque se maiori pauperiorum
turbae conparet, hunc atque hunc superare laboret.
sic festinanti semper locupletior obstat,
ut, cum carceribus missos rapit ungula currus,
instat equis auriga suos vincentibus, illum       115
praeteritum temnens extremos inter euntem.
inde fit, ut raro, qui se vixisse beatum
dicat et exacto contentus tempore vita
cedat uti conviva satur, reperire queamus.
iam satis est. ne me Crispini scrinia lippi       120
conpilasse putes, verbum non amplius addam.

liber I
Sarmo I

Sermones _Horatius (testo_latino)_1_5

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

an vigilare metu exanimem, noctesque diesque
formidare malos fures, incendia, servos,
ne te conpilent fugientes, hoc iuvat? horum
semper ego optarim pauperrimus esse bonorum.
at si condoluit temptatum frigore corpus       80
aut alius casus lecto te adflixit, habes qui
adsideat, fomenta paret, medicum roget, ut te
suscitet ac reddat gnatis carisque propinquis?
non uxor salvum te volt, non filius; omnes
vicini oderunt, noti, pueri atque puellae.       85
miraris, cum tu argento post omnia ponas,
si nemo praestet, quem non merearis, amorem?
an si cognatos, nullo natura labore
quos tibi dat, retinere velis servareque amicos,
infelix operam perdas, ut siquis asellum       90
in campo doceat parentem currere frenis?
denique sit finis quaerendi, cumque habeas plus,
pauperiem metuas minus et finire laborem
incipias, parto quod avebas, ne facias quod

Sermones _Horatius (testo_latino)_1_4

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

at qui tantuli eget quanto est opus, is neque limo
turbatam haurit aquam neque vitam amittit in undis.       60
at bona pars hominum decepta cupidine falso
'nil satis est', inquit, 'quia tanti quantum habeas sis':
quid facias illi? iubeas miserum esse, libenter
quatenus id facit: ut quidam memoratur Athenis
sordidus ac dives, populi contemnere voces       65
sic solitus: 'populus me sibilat, at mihi plaudo
ipse domi, simul ac nummos contemplor in arca.'
Tantalus a labris sitiens fugientia captat
flumina—quid rides? mutato nomine de te
fabula narratur: congestis undique saccis       70
indormis inhians et tamquam parcere sacris
cogeris aut pictis tamquam gaudere tabellis.
nescis, quo valeat nummus, quem praebeat usum?
panis ematur, holus, vini sextarius, adde
quis humana sibi doleat natura negatis.       75

Sermones _Horatius (testo_latino)_1_3

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

quid iuvat inmensum te argenti pondus et auri
furtim defossa timidum deponere terra?
quod, si conminuas, vilem redigatur ad assem?
at ni id fit, quid habet pulcri constructus acervus?
milia frumenti tua triverit area centum:       45
non tuus hoc capiet venter plus ac meus: ut, si
reticulum panis venalis inter onusto
forte vehas umero, nihilo plus accipias quam
qui nil portarit. vel dic quid referat intra
naturae finis viventi, iugera centum an       50
mille aret? 'at suave est ex magno tollere acervo.'
dum ex parvo nobis tantundem haurire relinquas,
cur tua plus laudes cumeris granaria nostris?
ut tibi si sit opus liquidi non amplius urna
vel cyatho et dicas 'magno de flumine mallem       55
quam ex hoc fonticulo tantundem sumere.' eo fit,
plenior ut siquos delectet copia iusto,
cum ripa simul avolsos ferat Aufidus acer.

Sermones _Horatius (testo_latino)_1_2

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

tu, consultus modo, rusticus: hinc vos,
vos hinc mutatis discedite partibus. eia,
quid statis?' nolint. atqui licet esse beatis.
quid causae est, merito quin illis Iuppiter ambas       20
iratus buccas inflet neque se fore posthac
tam facilem dicat, votis ut praebeat aurem?
praeterea, ne sic ut qui iocularia ridens
percurram: quamquam ridentem dicere verum
quid vetat? ut pueris olim dant crustula blandi       25
doctores, elementa velint ut discere prima:
sed tamen amoto quaeramus seria ludo:
ille gravem duro terram qui vertit aratro,
perfidus hic caupo, miles nautaeque, per omne
audaces mare qui currunt, hac mente laborem       30
sese ferre, senes ut in otia tuta recedant,
aiunt, cum sibi sint congesta cibaria: sicut
parvola—nam exemplo est—magni formica laboris
ore trahit quodcumque potest atque addit acervo
quem struit, haud ignara ac non incauta futuri.       35
quae, simul inversum contristat Aquarius annum,
non usquam prorepit et illis utitur ante
quaesitis sapiens, cum te neque fervidus aestus
demoveat lucro neque hiems, ignis mare ferrum,
nil obstet tibi, dum ne sit te ditior alter.       40

Sermones _Horatius (testo_latino)_1_1

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Qui fit, Maecenas, ut nemo, quam sibi sortem
seu ratio dederit seu fors obiecerit, illa
contentus vivat, laudet diversa sequentis?
'o fortunati mercatores' gravis annis
miles ait, multo iam fractus membra labore;       5
contra mercator navim iactantibus Austris:
'militia est potior. quid enim? concurritur: horae
momento cita mors venit aut victoria laeta.'
agricolam laudat iuris legumque peritus,
sub galli cantum consultor ubi ostia pulsat;       10
ille, datis vadibus qui rure extractus in urbem est,
solos felicis viventis clamat in urbe.
cetera de genere hoc—adeo sunt multa—loquacem
delassare valent Fabium. ne te morer, audi,
quo rem deducam. si quis deus 'en ego' dicat       15
'iam faciam quod voltis: eris tu, qui modo miles,
mercator; 

Satyricon (Petronio)_7

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Il Satyricon è spesso considerato come il primo esempio di quello che sarebbe poi diventato, nel tempo, il romanzo moderno. Non esiste una filiazione diretta fra il romanzo antico e il romanzo moderno, tuttavia la riscoperta dei frammenti superstiti di quest'opera ebbe, dopo il Rinascimento, un considerevole impatto sulla narrativa occidentale.
Il contenuto dell'opera, incentrato sull'erotismo, la promiscuità sessuale e il culto di Priapo, motiva la sua limitata trascrizione, e quindi la diffusione, specialmente in epoca cristiana. In età moderna, l'opera viene tuttavia rivalorizzata. 
Il filologo tedesco Erwin Preuschen avanzò delle ipotesi concernenti possibili legami fra il Vangelo di Marco e il Satyricon di Petronio, scritto fra 64 e 65, riferendosi in particolare all'episodio della matrona efesina 
Diverse sarebbero le analogie riscontrate: oltre all'episodio della crocifissione contenuto nella novella della matrona di Efeso, agli accenni alla resurrezione e all'eucarestia sparsi nel testo, spicca fra gli altri il legame fra l'unzione di Betania e l'unzione compiuta con un'ampolla di nardo da parte di Trimalcione, uno dei protagonisti dell'opera di Petronio. In particolare, lo strano carattere funebre che la cena di Trimalcione a un certo punto assume, rivelerebbe un intento parodistico che si inquadrerebbe nel clima persecutorio nei confronti dei cristiani, tipico degli anni di composizione del Satyricon, che sono gli stessi in cui si verifica la persecuzione di Nerone 

fonti:
Wikipedia, V. K. F. Rose, The author of the Satyricon, in «Latomus» 1961, pp. 820-825, mentre sul problema del praenomen cfr. G. Brugnoli, L'intitulatio del Satyricon, in «Rivista di cultura classica e medievale» 1961, pp. 317-331
 Angelo Roncoroni; Roberto Gazich, Elio Marinoni, Elena Sada, Documenta Humanitatis - Autori, generi e temi della letteratura latina, Varese, Signorelli Scuola. ISBN 978-88-434-1159-7

Satyricon (Petronio)_6

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Anche per quanto riguarda lo stile possiamo parlare di pastiche perché egli usa un latino popolare e talora scorretto tipico dei liberti, mantenendo toni bassi e un lessico ricco di volgarismi.

« Quid me constricta spectatis fronte Catone,
damnatisque novae simplicitatis opus?
Sermonis puri non tristis gratia ridet,
quodque facit populus, candida lingua refert.  »

« Perché guardate me con fronte aggricciata, o Catoni,
e censurate un'opera di inedita schiettezza?
Qui ride la grazia ilare d'un parlar puro,
e la lingua verace riporta quello che fa il popolo.  »
(Petronio, Satyricon, CXXXII, 15 )
Il carattere realistico del Satyricon interessa tutti i livelli descrittivi: degli ambienti, dei personaggi e del loro sistema dei valori. Lo stesso Petronio dichiara apertamente la sua tecnica narrativa al capitolo 132 dell'opera: rappresentare con linguaggio schietto e distante da moralismi tutti gli aspetti della vita quotidiana del ceto medio-basso.
L'esempio emblematico è costituito dalla Cena, dove il realismo descrittivo ha il suo culmine con la rappresentazione del comportamento e dello stile di vita dei liberti ospiti di Trimalchione.


Satyricon (Petronio)_5

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

All'estrema varietà di generi del Satyricon, s'aggiunge la grande componente parodica. Lo Heinze suppose nell'ultimo '800, come precedentemente detto, che il Satyricon fosse sistematica parodia del romanzo erotico greco: alla coppia di sposi casti e fedeli, subentra una coppia omosessuale di infedeli cronici. In comune vi è il tema della separazione e del ricongiungimento. Questo genere parodico è strettamente legato ad una tradizione letteraria già presente nella stessa Grecia e attestata nel Romanzo di Iolao, di recente ritrovamento. Il Satyricon ne modifica, però, l'ambientazione: Mediterraneo Occidentale, invece del Mediterraneo Orientale.
Il Satyricon è, altrettanto evidentemente, parodia dell'Odissea di Omero, romanzo di viaggio per eccellenza. L'opera di Petronio riprende, infatti, il tema del viaggio, della persecuzione del dio (per Ulisse: Nettuno, per Encolpio: Priapo), del naufragio e di particolari minori, quali l'avventura tra Encolpio-Polieno e Circe.
Allo stesso modo, si può intravedere la parodia dell'Eneide di Virgilio, di alcuni episodi in particolare. Questo conferma l'intento parodistico rivolto a tutta la letteratura epica in generale.
A tutto ciò si sommano parodie verso molti altri generi letterari, quali l'elegia, la tragedia, ma anche i Vangeli.



Satyricon (Petronio)_4

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Il Satyricon di Petronio non rientra in un unico genere letterario codificato: è combinazione di generi molto diversi tra loro. È per questo definito, pastiche letterario.
L'opera è sicuramente formata sul modello della satira menippea, da cui trae la tecnica della fusione di parti in prosa e parti in poesia, dal taglio satirico pungente e moraleggiante. Come deducibile dal titolo stesso, il Satyricon è anche ispirato al genere della satira. Questo è, però, realizzato attraverso un lucido distacco, privo quindi del forte intento moralistico degli autori satirici precedenti.
Allo stesso modo, il Satyricon fu influenzato dal mimo, rappresentazione teatrale dal forte realismo descrittivo. In ultima, sebbene molto più limitatamente, il rimando alla favola milesia, dalla quale prende spunto per gli episodi macabri o licenziosi (come quello della Matrona di Efeso).
Esiste infine un'ipotesi più suggestiva, tuttavia non condivisa all'unanimità dagli studiosi, che accomuna il Satyricon al modello del romanzo ellenistico. Con esso l'opera condivide diversi aspetti: la struttura complessa, il rapporto amoroso fra i protagonisti e le disavventure che essi devono affrontare. Tuttavia, considerando le evidenti differenze con cui gli stessi temi del romanzo ellenistico sono trattati da Petronio, alcuni critici, per primo lo Heinze, hanno sostenuto la tesi di un solo intento parodistico di Petronio verso questo genere ben conosciuto e popolare.


Satyricon (Petronio)_3

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

In seguito, Encolpio, allontanatosi dagli altri due compagni, incontra Eumolpo, un vecchio letterato che, notato l'interesse di Encolpio per un quadro raffigurante la presa di Troia, gliene declama in versi il resoconto (è la celebre Troiae halosis). I due diventano quindi compagni di viaggio, rivali in amore a causa di Gitone e dopo una serie di avventure, che li vedono viaggiare per mare e rischiare anche la vita, si ritrovano insieme nella città di Crotone, dove Eumolpo si finge un vecchio danaroso e senza figli, ed Encolpio e Gitone si fanno passare per i suoi servi: così essi scroccano pranzi e regali dai cacciatori di eredità.
Nei frammenti successivi, Eumolpo recita un brano epico, in cui viene descritto il Bellum civile ("La guerra civile") fra Cesare e Pompeo, e successivamente si legge di Encolpio che, per l'ira di Priapo, diventato impotente, è vittima di una ricca amante che si crede disprezzata da lui e lo perseguita. Eumolpo, invece, scrive il suo testamento dove specifica che gli eredi avranno diritto alle sue ricchezze solo se faranno a pezzi il suo corpo e se ne ciberanno in presenza del popolo.


Satyricon (Petronio)_2

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Il racconto da qui si sposta a casa di Trimalchione, un liberto arrichitosi immensamente attraverso l'attività commerciale. Qui s'apre la scena della "cena". Occupando quasi metà dell'intero scritto pervenutoci, l'episodio costituisce la parte centrale dell'opera. Al convivio sono ospiti, oltre ai tre giovani, anche vari personaggi dello stesso rango di Trimalchione. La portata del cibo è spettacolare e altamente coreografica, accompagnata da giochi acrobatici dei servi del padrone di casa e da racconti tra i commensali. I convitati intrattegono poi una lunga conversazione, che tocca i più svariati argomenti: la ricchezza e gli affari di Trimalchione, l'inopportunità dei bagni, la funzione del funerale, le condizioni climatiche e l'agricoltura, la religione e i giovani, i giochi pubblici, i disturbi intestinali, il valore del vetro, il destino, i monumenti funebri, i diritti umani degli schiavi. Tutto offre uno spaccato vivace e colorato, non senza punte di chiara volgarità, della vita di quel ceto sociale.

Satyricon (Petronio)_1

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Satyricon

Il Satyricon è un prosimetro della letteratura latina attribuito a Petronio Arbitro (I secolo d.C.). La frammentarietà e la lacunosità del testo pervenuto in età moderna hanno compromesso una comprensione più precisa dell'opera.
L'opera racconta le vicissitudini di Encolpio, il giovane protagonista, di Gitone, il suo amato efebo, e dell'infido amico-nemico Ascilto.
L'antefatto, soltanto deducibile, racconta di un oltraggio commesso da Encolpio nei confronti della divinità fallica Priapo, che da lì in poi lo perseguita provocando al protagonista una serie di insuccessi erotici.
La narrazione tràdita si apre con una discussione tra Encolpio e il retore Agamennone sul tema della decadenza dell'eloquenza. Il protagonista poi s'allontana per cercare il suo convivente Ascilto, che ritrova in lupanare. Qui i due sono forse coinvolti in un'orgia. Scampatene, Encolpio apprende che Ascilto s'è unito col suo amato Gitone. Da qui la rivalità dei due personaggi che, separatisi, intraprendono due percorsi diversi, per poi ricongiungersi in breve tempo.
I due vanno a Napoli, o forse Pozzuoli, dove fanno i conti col sacrilegio commesso nel tempio di Priapo: la sacerdotessa, Quartilla, interrotta durante il rito, costringe Encolpio e Ascilto ad un'orgia come metodo di redenzione. In questa è coinvolto anche Gitone, che poi viene spinto ad unirsi con la settenne Pannichide. Terminata la vicenda, ritornano tutti a casa.

Annales_5

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

È intento di Ennio, consapevole dell'importanza di questa storia, far capire ai romani che:
L'importanza dell'arte che per qualunque società deve esserer sacra,intoccabile e autonoma;
L'intellettuale che la pratica è altrettanto sacro ed esige rispetto.
Ma il poemio del VII libro è più importante "Sull'argomento scrissero altri in versi con cui una volta cantavano i Fauni e i Vati, poiché né alcuno era salito sui colli delle Muse, né alcuno prima di me vi fu che fosse amante del sapere poetico...né alcuno ebbe mai il sogno, prima di averla appresa, la conoscenza della sofia, quella che da noi si chiama sapientia... noi abbiamo osato dischiudere...
Questi versi hanno un significato molto vincolante per tutti i letterati che sono venuti dopo:
Quando si dice che l'artista Ennio scrive in un modo nuovo e non come cantano i Fauni, si vuole criticare Nevio e il suo saturnio, considerato tecnicamente un metro inferiore all'esametro, adoperato da Ennio con grande perizia e diffuso da lui presso tutti gli intellettuali romani;
Anche il richiamo alle Muse e alla conoscenza della sapientia vogliono comunicare ai romani che anche nella loro società l'intellettuale dev'essere rispettato e che inoltre è giunto il momento di distinguere la prosa dalla poesia, cosa che a Roma non sarà mai accettata a fondo.

Annales_4

Posted by Massimo Meridio On 0 commenti

Egli adottò un nuovo verso, l'esametro dattilico, utilizzato dall'epica greca in età omerica, ma sconosciuto alla poesia romana. Non furono pochi gli ostacoli da superare per piegare al nuovo metro la lingua latina, ma l'uso sapiente che Ennio stesso seppe fare del nuovo metro testimonia il suo desiderio di una spinta fortemente innovatrice nel gusto ancora rozzo dei Romani (il poeta è convinto che Roma meriti un canto altrettanto alto come i poemi omerici).
A noi sono rimasti solamente il verso iniziale e il proemio del primo libro e un secondo proemio posto all'inizio del VII libro. "Muse, che danzate sopra al grande cielo...": già dal verso iniziale si coglie una prima differenza con Livio Andronico, infatti si può notare come il popolo romano abbia accettato di "grecizzarsi" accettando così l'esistenza delle Muse e inoltre Ennio sostiene addirittura di aver incontrato il simulacrum di Omero che è entrato in lui mediante la metempsicosi. Il tema del sogno è un topos letterario molto ricorrente in Esiodo, storicamente esistito a differenza di Omero. Egli infatti nella Teogonia racconta di aver incontrato le Muse proprio in seguito ad un sogno e che loro stesse gli abbiano dato il titolo di POETA.