Letteratura latina _19:Si vis pacem para bellum

Letteratura latina _19

Posted by Massimo Meridio On martedì 27 marzo 2012 0 commenti

De vita beata
Scritta nel periodo in cui il filosofo era a fianco di Nerone, l’opera è divisa in due parti : una teoretica, dove vengono espressi i dettami della dottrina stoica (vita secondo natura, ovvero secondo ragione), l’altra polemica, con riferimenti personali. Seneca contesta chi taccia i filosofi d’incoerenza perché non mettono in atto in prima persona i loro precetti morali : proporsi degli obbiettivi è già un merito, poi non è detto che il filosofo riesca a metterli in atto. "Che c’è di strano se [i filosofi] non arrivano in cima, avendo intrapreso una salita molto ripida?".

I trattati
L’impostazione formale è analoga a quella dei Dialoghi. I titoli sono : De clementia, De beneficiis, Naturales quaestiones.

De clementia
E’ un trattato di filosofia politica dove Seneca esalta la monarchia illuminata, palesando ancora una volta grande modernità di pensiero. Seneca elogia qui Nerone, che possiede la più grande virtù di un sovrano : la clemenza appunto, l’indulgenza cioè che adotta chi ha il potere nell’infliggere le pene.

Le Lettere a Lucilio
Sono l’ultima e più importante opera filosofica di Seneca. E’ una raccolta di 124 lettere, divise tra 20 libri, scritte tra il 62 e il 65 e intestate a Lucilio Iuniore. Sono una serie di riflessioni filosofico-morali. L’autore si presenta come un uomo che dopo aver sprecato gran parte della sua vita negli incarichi pubblici, può finalmente dedicarsi al perfezionamento morale. L’atteggiamento è quello di un maestro verso un suo giovane discepolo, ma tale orientamento può ritenersi genericamente rivolto ai posteri, non solo a Lucilio. Questo evidenzia come le Epistolae fossero state scritte già con l’intento di essere pubblicate (epistole letterarie, al contrario di quelle di Cicerone). E’ la prima volta nella letteratura romana che questo filone, tipico invece in quella greca (il modello principale è Epicuro, come viene dichiarato esplicitamente). Uno dei tratti caratteristici è il riferimento ad episodi personali dai quali la riflessione si allarga per divenire generale insegnamento morale. Il tono è quello del sermo, colloquiale, agile ma non volgare. Coerente con questa scelta stilistica è la mancanza di organicità nella trattazione, tanto nelle singole lettere quanto nella loro disposizione all’interno dell’opera. Tuttavia esiste un filo conduttore, rappresentato dai progressi morali di Lucilio, al quale Seneca si rivolge dapprima come ad un discepolo alle prime armi, ricorrendo sovente a massime brevi e concise. E’ un’esortazione alla filosofia morale (carattere parenetico). Poi, dopo l’epistola 30, Seneca nota compiaciuto i progressi dell’amico e passa a metodi d’insegnamento più impegnativi. I progressi sono intellettuali ma soprattutto morali, questi ultimi testimoniati dalla scelta dell’otium che Seneca caldeggia e alla quale Lucilio (che era procuratore in Sicilia) aderisce infine (come attestato nell’epistola 82). Questo dell’otium si rivela come uno dei temi conduttori dell’opera : Seneca reputa di aver fatto quella scelta troppo tardi, e che con troppo ritardo ha capito che la sapientia è la sola possibilità di raggiungere la virtù. Senza mai nominare Nerone, Seneca si mostra tuttavia leale al potere, attraverso la polemica con gli atteggiamenti di protesta. Preferisce all’adulazione dell’imperatore, la rievocazione di ricordi del padre (al quale era molto legato), dei suoi maestri, della sua amata moglie. Ma soprattutto è alla ricerca del vero bene, la virtù che si raggiunge abbandonando le frivolezze, e mostra di essere restio al contatto con la folla. Aderisce alla dottrina stoica, ma non esita a criticarne le cavillose sottigliezze dialettiche, cita Epicuro (per il quale Lucilio simpatizzava) dicendo che la verità è proprietà comune. E proprio ispirandosi agli epicurei, si prepara alla morte, che assieme al tempo è un altro importante tema dell’opera, dicendo che liberarsi della paura di essa è compito di ogni filosofo : chi ha realizzato l’autarkeia (autosufficienza) non ha nulla da temere né da rimpiangere. E’ importante come si vive, non quanto. Per questo, in alcuni casi è lecito o doveroso decidere di morire.

0 commenti:

Posta un commento